In mediazione le parti devono essere protette dalle conseguenze giuridiche nefaste di un accordo concluso ingenuamente. Ma l’avvocato, oltre a verificare la legittimità e la difendibilità giuridica dell’accordo di conciliazione, deve soprattutto accompagnare il cliente nella negoziazione.
Per esaminare le qualità che richiede questa funzione occorre rifarsi alla pratica dei diplomatici e degli avvocati che, oggi come in un passato anche remoto, hanno negoziato trattati e contratti, pubblici e privati, a fianco di imprenditori o di uomini di Stato.
Nel DNA dell’avvocato vi è ben di più della difesa tecnica nel processo civile o penale o amministrativo. Nella storia dei paesi occidentali gli avvocati hanno prodotto pareri e “consigli” e hanno assistito nella negoziazione dei più disparati accordi i loro clienti: ciò non ha nulla a che fare con l’attività transattiva che si svolge nel contesto del processo, ma costituisce una vera e propria attività autonoma con i suoi canoni e le sue regole, che poco hanno a che vedere con l’agonismo processuale.
Negli ultimi decenni si è preferito esaltare (almeno in Italia) l’attività meramente processuale dell’avvocato senza considerare che la crescente influenza del mondo giuridico anglosassone portava con sé la valorizzazione del “consulente”. Si pensi all’importanza del Sollicitor nel Regno Unito, il quale svolge esclusivamente funzioni di assistenza giuridica non-processuale e non certo per sparute minoranze di “ricchi”.
Vogliamo leggere l’introduzione della mediazione nell’Unione Europea come un’occasione per rivalutare in Italia le funzioni stragiudiziali dell’avvocato. Ciò si risolverebbe in un accrescimento della competitività di quest’ultimo nei confronti di altre professioni che si sono lentamente impossessate di tali funzioni e forse anche in un vantaggio competitivo nei confronti di quei colleghi che intendono restare trincerati nel loro ruolo processuale. Visti i cambiamenti economici e sociali in atto, ci sembra valga la pena provarci.
L’avvocato può infine trarre profitto dalla mediazione anche per saggiare le proprie strategie giuridiche, le “sviste” processuali proprie e quelle dell’altra parte, i fatti e gli interessi taciuti dal cliente che possono gettare una luce nuova (non necessariamente negativa) sulla causa eventuale futura.
Per l’avvocato non vi sono “questioni di principio”, non ci si innamora delle proprie tesi giuridiche. Una mediazione può servire dunque anche a riconsiderare, in un contesto più ampio, i propri argomenti giuridici.
Diego Comba
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